mercoledì 30 maggio 2012

SCROSTARE IL SISTEMA

di S.T.
  
Gentile Prof. Mio, ero uno degli spettatori silenti alla conferenza di Palazzo Foscolo tenutasi ad Oderzo il 23 Maggio.Mi permetto di fare alcuni commenti a latere, certo che saprà collocarli nella scia delle esperienze che ha citato alla platea…
  
(postiamo sul nostro blog i commenti dell’amico S.T. [chi è e cosa fa lo spiega lui stesso qui sotto] all’incontro con Chiara Mio. S.T. non è iscritto al PD e le sue considerazioni non impegnano noi, come il fatto che le rendiamo note, col suo permesso, sul nostro sito, non impegna lui. Le propongo a tutti perché vengono da qualcuno che ha una lunga esperienza diretta di lavoro dentro il nostro sistema produttivo, esperienza durante la quale però ha visto molte altre situazioni e ha potuto confrontarle con la nostra. Personalmente le trovo molto interessanti, per quanto piuttosto amare, e spero che possano aiutarci a ragionare sul difficile passaggio presente della storia del nostro territorio. Posso garantire che S.T., al di là dell’apparente disincanto, pensa e lavora, come cittadino, per preparare la trasformazione del nostro paese in un paese davvero civile. Contando di farcela in tempi non troppo lunghi... Sandro Battel)
Ho 47 anni, laurea in Ingegneria Elettrotecnica: già così partiamo male, in un territorio in cui il celebrato imprenditore del Nord Est, per definizione, ne sa di più.
Ho sentito risuonare tra i capannoni la frase: “pì che i studia manco i capisse” dove le discussioni in cui dovrebbe prevalere la competenza sono un pretesto per una rivalsa personale, a dimostrazione che l’astuzia del mercante ha la meglio sulla formazione accademica. Pazienza.
Tuttavia porto maggior rispetto ai padri che, con bassa scolarità e pochi mezzi, hanno saputo edificare grosse imprese artigiane, impropriamente definite industrie.
I figli, che hanno la mia età, potrebbero avere 3 lauree (conseguite a Oslo, Boston e Sydney) e parlare 5 lingue. Invece non dico l’inglese: nemmeno l’italiano di base sanno. Cosa ci possiamo aspettare da questa classe imprenditoriale che non fa la programmazione, non dico a lungo, ma nemmeno a breve termine?
Pochi giorni fa ho incontrato a Sofia un funzionario di banca italiano che mi raccontava della lunga schiera di imprenditori sbarcati alla conquista del nuovo Eden; con sua somma sorpresa non erano lì per piantare aziende ma per comperare immobili nel centro città. Propensione al rischio “Made in Italy”.
Qualche anno fa ho brevettato alcune idee; la cosa mi è valsa qualche riconoscimento nazionale, un passaggio su Striscia la Notizia. Alla prova dei fatti non ho trovato un’azienda interessata. Investire significa acquistare una bordatrice più grande, ampliare il capannone o anche cambiare l’Audi. Le idee invece non interessano. Contenti loro.
Ho costruito un’abitazione; l’unico requisito posto ad un blasonato studio di architettura era che fosse a raffrescamento passivo; pazienza il “vecchio” architetto (60 enne) ma anche i giovani discepoli mi chiedevano stupiti di cosa stessi parlando e dove l’avessi visto. Evviva.
Passo buona parte dell’anno sugli aerei; la vacanza non deve somigliare alla routine. Da una decina d’anni faccio le vacanze treno e bici; allora passavo per eccentrico. Resta ancora qualche difficoltà a convincere i compagni di viaggio che poi però apprezzano, anche se non lo dicono apertamente. Ho scoperto luoghi che si attraversavano ma non si vedevano anche se sono sulle porte di casa. Mentre l’Italia intera imprecava sulla A4 in direzione della Croazia io ero appena oltre il crinale a pedalare senza fretta nel Carso Sloveno, lontano dall’industria del turismo, dove il passante è ancora un forestiero meritevole di ospitalità, di considerazione e non viene depredato: una birra da 0.5 litri si paga 1.80 €; qui la 0.4 non scende mai sotto i 3.50 €. Misteri della moneta unica.
Qualche anno fa in Polonia parlai con un trentenne che mi raccontava la nostalgia per gli anni bui di Jaruzelsky; davanti al mio stupore mi spiegò che avevano proibito tutto, alla sera locali e cinema erano chiusi. Allora si metteva insieme del the, una salsiccia, qualche biscotto fatto in casa e si andava a trovare gli amici. Ci si trovava in una decina nei minuscoli appartamenti del regime. Poi venne l’abbondanza, le pance furono finalmente piene, le case si svuotarono. Ora c’è il DVD ed ognuno se lo guarda per conto proprio.
Infine la scuola; Bangalore, sabato sera. Un imprenditore indiano (80 dipendenti) mi vuole portare a cena con la famiglia; arrivano senza la figlia di circa 16 anni. Si fermano a caricarla davanti ad una scuola alle 18.30, ribadisco, di sabato sera. Le chiedo cosa ci faceva a scuola fino a quell’ora. Mi risponde che “zoppica” in alcune materie; l’anno prossimo andrà al college e ci sono 600 posti a fronte 60.000 domande. Obietto che una città di 8 milioni non avrà un solo college. Mi risponde che ce ne sono altri ma quello è il migliore e avendo una migliore formazione avrà maggiori possibilità di scelta e migliore retribuzione. Cosa farebbe un italico coetaneo ? Quanti direbbero: vado a “lavorare” da mio papà. Se lavorassero in un’altra azienda e poi, avendo dimostrato le capacità, rientrassero non ci sarebbe nulla di male. No, sono cooptati.
Il guaio è che poi si iscrivono ai Giovani Industriali senza capire che sono dei figli Giovani di Industriali; pensano che le attitudini si acquisiscano per censo, come il principe, alla scadenza, diventava re.
Per l’industriale tipo il figlio non può diventare un bravo giornalista, idraulico o apicoltore. Geneticamente è nato per fare l’imprenditore. Punto.
Questi “mostri a loro insaputa” sulla carta sono tutti paladini del libero mercato (qualcuno ostenta qualche tessera, inutile specificare chi sia il loro modello), mentre in azienda sono dei vetero comunisti di stampo sovietico: tutti i figli hanno lo stesso stipendio (da amministratore, ovviamente) e così le loro mogli, salvo poi inneggiare alla meritocrazia. L’azienda è un Soviet, composto da parenti e pagati da parenti, fuori dalle leggi del mercato tanto invocato. L’azienda di famiglia diventa l’azienda-famiglia in cui il grado di parentela ed il ruolo si confondono; dare dell’incapace alla cognata significa offenderla e sollevare rancori latenti dagli anni del liceo e mai sopiti.
Questa crisi è salutare per scrostare questo sistema marcio, purtroppo chi ne fa le spese è la classe operaia (si diceva un tempo) che non ha accumulato garanzie e viene lasciata alla deriva. All’atto del loro fallimento si invoca il tanto deprecato Stato sprecone ed assistenzialista per porre rimedio. Ma non erano liberali ?
Un cordiale saluto
S.T. - Oderzo

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