di S.T.
Gentile Prof. Mio, ero uno degli spettatori silenti alla
conferenza di Palazzo Foscolo tenutasi ad Oderzo il 23 Maggio.Mi permetto di fare alcuni commenti a
latere, certo che saprà collocarli nella scia delle esperienze che ha citato
alla platea…
(postiamo sul nostro blog i commenti dell’amico S.T. [chi è e cosa fa lo spiega lui stesso qui sotto] all’incontro con Chiara
Mio. S.T. non è iscritto al PD e le sue considerazioni non impegnano noi, come
il fatto che le rendiamo note, col suo permesso, sul nostro sito, non impegna
lui. Le propongo a tutti perché vengono da qualcuno che ha una lunga esperienza
diretta di lavoro dentro il nostro sistema produttivo, esperienza durante la
quale però ha visto molte altre situazioni e ha potuto confrontarle con la
nostra. Personalmente le trovo molto interessanti, per quanto piuttosto amare,
e spero che possano aiutarci a ragionare sul difficile passaggio presente della
storia del nostro territorio. Posso garantire che S.T., al di là dell’apparente
disincanto, pensa e lavora, come cittadino, per preparare la trasformazione del
nostro paese in un paese davvero civile. Contando di farcela in tempi non
troppo lunghi... Sandro Battel)
Ho 47 anni, laurea in Ingegneria
Elettrotecnica: già così partiamo male, in un territorio in cui il celebrato
imprenditore del Nord Est, per definizione, ne sa di più.
Ho sentito risuonare tra i capannoni
la frase: “pì che i studia manco i capisse” dove le discussioni in cui dovrebbe
prevalere la competenza sono un pretesto per una rivalsa personale, a
dimostrazione che l’astuzia del mercante ha la meglio sulla formazione
accademica. Pazienza.
Tuttavia porto maggior rispetto ai
padri che, con bassa scolarità e pochi mezzi, hanno saputo edificare grosse
imprese artigiane, impropriamente definite industrie.
I figli, che hanno la mia età,
potrebbero avere 3 lauree (conseguite a Oslo, Boston e Sydney) e parlare 5
lingue. Invece non dico l’inglese: nemmeno l’italiano di base sanno. Cosa ci
possiamo aspettare da questa classe imprenditoriale che non fa la
programmazione, non dico a lungo, ma nemmeno a breve termine?
Pochi giorni fa ho incontrato a Sofia
un funzionario di banca italiano che mi raccontava della lunga schiera di
imprenditori sbarcati alla conquista del nuovo Eden; con sua somma sorpresa non
erano lì per piantare aziende ma per comperare immobili nel centro città.
Propensione al rischio “Made in Italy”.
Qualche anno fa ho brevettato alcune
idee; la cosa mi è valsa qualche riconoscimento nazionale, un passaggio su
Striscia la Notizia. Alla prova dei fatti non ho trovato un’azienda
interessata. Investire significa acquistare una bordatrice più grande, ampliare
il capannone o anche cambiare l’Audi. Le idee invece non interessano. Contenti
loro.
Ho costruito un’abitazione; l’unico
requisito posto ad un blasonato studio di architettura era che fosse a
raffrescamento passivo; pazienza il “vecchio” architetto (60 enne) ma anche i
giovani discepoli mi chiedevano stupiti di cosa stessi parlando e dove l’avessi
visto. Evviva.
Passo buona parte dell’anno sugli
aerei; la vacanza non deve somigliare alla routine. Da una decina d’anni faccio
le vacanze treno e bici; allora passavo per eccentrico. Resta ancora qualche
difficoltà a convincere i compagni di viaggio che poi però apprezzano, anche se
non lo dicono apertamente. Ho scoperto luoghi che si attraversavano ma non si
vedevano anche se sono sulle porte di casa. Mentre l’Italia intera imprecava
sulla A4 in direzione della Croazia io ero appena oltre il crinale a pedalare
senza fretta nel Carso Sloveno, lontano dall’industria del turismo, dove il
passante è ancora un forestiero meritevole di ospitalità, di considerazione e
non viene depredato: una birra da 0.5 litri si paga 1.80 €; qui la 0.4 non
scende mai sotto i 3.50 €. Misteri della moneta unica.
Qualche anno fa in Polonia parlai con
un trentenne che mi raccontava la nostalgia per gli anni bui di Jaruzelsky;
davanti al mio stupore mi spiegò che avevano proibito tutto, alla sera locali e
cinema erano chiusi. Allora si metteva insieme del the, una salsiccia, qualche
biscotto fatto in casa e si andava a trovare gli amici. Ci si trovava in una
decina nei minuscoli appartamenti del regime. Poi venne l’abbondanza, le pance
furono finalmente piene, le case si svuotarono. Ora c’è il DVD ed ognuno se lo
guarda per conto proprio.
Infine la scuola; Bangalore, sabato
sera. Un imprenditore indiano (80 dipendenti) mi vuole portare a cena con la
famiglia; arrivano senza la figlia di circa 16 anni. Si fermano a caricarla
davanti ad una scuola alle 18.30, ribadisco, di sabato sera. Le chiedo cosa ci
faceva a scuola fino a quell’ora. Mi risponde che “zoppica” in alcune materie;
l’anno prossimo andrà al college e ci sono 600 posti a fronte 60.000 domande.
Obietto che una città di 8 milioni non avrà un solo college. Mi risponde che ce
ne sono altri ma quello è il migliore e avendo una migliore formazione avrà
maggiori possibilità di scelta e migliore retribuzione. Cosa farebbe un italico
coetaneo ? Quanti direbbero: vado a “lavorare” da mio papà. Se lavorassero in
un’altra azienda e poi, avendo dimostrato le capacità, rientrassero non ci
sarebbe nulla di male. No, sono cooptati.
Il guaio è che poi si iscrivono ai
Giovani Industriali senza capire che sono dei figli Giovani di Industriali;
pensano che le attitudini si acquisiscano per censo, come il principe, alla
scadenza, diventava re.
Per l’industriale tipo il figlio non
può diventare un bravo giornalista, idraulico o apicoltore. Geneticamente è nato
per fare l’imprenditore. Punto.
Questi “mostri a loro insaputa” sulla
carta sono tutti paladini del libero mercato (qualcuno ostenta qualche tessera,
inutile specificare chi sia il loro modello), mentre in azienda sono dei vetero
comunisti di stampo sovietico: tutti i figli hanno lo stesso stipendio (da
amministratore, ovviamente) e così le loro mogli, salvo poi inneggiare alla
meritocrazia. L’azienda è un Soviet, composto da parenti e pagati da parenti,
fuori dalle leggi del mercato tanto invocato. L’azienda di famiglia diventa
l’azienda-famiglia in cui il grado di parentela ed il ruolo si confondono; dare
dell’incapace alla cognata significa offenderla e sollevare rancori latenti
dagli anni del liceo e mai sopiti.
Questa crisi è salutare per scrostare
questo sistema marcio, purtroppo chi ne fa le spese è la classe operaia (si
diceva un tempo) che non ha accumulato garanzie e viene lasciata alla deriva.
All’atto del loro fallimento si invoca il tanto deprecato Stato sprecone ed
assistenzialista per porre rimedio. Ma non erano liberali ?
Un cordiale saluto
S.T. - Oderzo
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